Nel 1906 Amedeo Modigliani giunge a Montmartre.
Il pittoresco quartiere di Parigi, dove oggi approdano migliaia di visitatori e turisti, in quegli anni è per molti aspetti un villaggio, in quanto non è interessato dai rinnovamenti che nello stesso periodo opera l’urbanista Haussmann.
Gli edifici versano in uno stato di decadenza evidente e vecchi mulini delimitano il paesaggio. Le colline sono coperte da vigneti e da orti e nelle notti impera il silenzio tipico di una zona di campagna. A quell’epoca Montmartre è abitata da tutti gli artisti che contano. Duchamp, Renoir e Steinlen hanno i loro atelier in rue Caulaincourt, Degas in rue Laval, Bonnard in rue de Douai, Derain in rue de Tourlaque, Laurencin in rue Léonie, Braque in rue d’Orsel, Picabia in rue Moreau.
Picasso, Kees van Dongen e Juan Gris stanno al Bateau-Lavoir, un edificio nato come fabbrica di pianoforti e poi diventato quartiere degli artisti.
Il nome Bateau-Lavoir deriva dalle barche-lavatoi attraccate lungo la Senna, dalle quali si diffonde uno sgradevole odore di panni bagnati e sporchi.
L’edificio ha quattro piani ed è in uno stato precario, in quanto le pareti sono piene di umidità e all’interno aleggia un odore di muffa e di fogna. Al piano terra vi è l’unico bagno, buio e lurido. L’affitto comunque costa solo 15 franchi al mese, mentre nello stesso periodo una stanza d’albergo viene pagata un franco a notte.
Tutti gli abitanti del Bateau-Lavoir sono aspiranti artisti molto giovani, per i quali l’unica cosa che conta è essere visti nelle vicinanze dei luoghi di ritrovo, come il Lapin Agile e lo Chat Noir.
Montmartre è abitato già prima che vi giungessero i romani a costruirvi i templi. Nel medioevo vi sorgono le abbazie e i mulini a vento di proprietà della Chiesa e allora assume il nome di Mont des Martyrs, monte dei martiri. Diviene poi un luogo malfamato, pieno di gallerie e labirinti, rifugio ideale per ladri e vagabondi. Dopo il 1860 il Comune di Montmartre entra a far parte della capitale e da quel momento vi arrivano una schiera di anticonformisti come musicisti, pittori e poeti.
Un amico di Modigliani di quel tempo, Luis Latourrette, ci racconta che Amedeo ama recitare i passi di Leopardi, Carducci e D’Annunzio. Ama anche la musica e va spesso ad ascoltare i concerti.
Chi lo frequenta a quel tempo nota il suo tormento nella ricerca della purezza dell’arte, della sincerità verso se stesso e verso la sua indole.
Di questo periodo non sono pervenute molte opere di Modigliani in quanto l’artista è estremamente insoddisfatto della sua arte e tende a distruggere tutto ciò che ritiene non adeguato all’impeto che sente emergere dall’intimo.
Il mendicante di Livorno è un’opera del 1909. Può essere definita giovanile, in quanto l’artista sperimenta col colore e con i cromatismi ottenuti da loro accoppiamento. Si tratta di un olio su tela, anche se le pennellate larghe e fluide rimanderebbero alla tecnica dell’acquerello. Lo stile Modigliani non è ancora definito. In quest’opera si cerca di far risaltare l’umanità del soggetto, la sua concretezza, la predisposizione a instaurare un dialogo e un contatto con l’altro. Le tonalità del blu e dell’azzurro richiamano la leggerezza dell’essere e, sicuramente, riflettono un ricordo impresso nell’anima dell’artista. Ma lo sguardo dell’uomo è serio e attento, lasciando intendere una certa sofferenza nel cammino dell’esistenza. È evidente che l’uomo appartenga a uno strato sociale debole e provenga da un mondo confuso, nel quale l’aspetto più importante e di vivere alla giornata, cogliendo ciò che la vita ci presenta.
Brano tratto dal romanzo “Parlami in silenzio Modì”:
«E questa? Non si direbbe che a Livorno tu non abbia avuto ispirazione!» Si diresse verso l’opera e prese in mano il soggetto che avevo intitolato Il mendicante di Livorno.
«Non vale molto, è uno studio.»
«La trovo un’opera significativa. Sembra che ti sia concentrato sul disegno con l’intenzione di aumentare i volumi. Il modello deve essere stato determinante, come per Il Violoncellista. L’umanità di quest’uomo emerge in modo netta.»
Sorrisi pensando alla vera genesi di quel quadro:
«Questa volta devo dirti che ti sbagli. Non c’è stato nessun individuo, nessun mendicante. Ti ripeto che è uno studio, in quanto ho voluto sperimentare sulla tela ciò che ho compreso dall’accostamento alle opere del maestro Cézanne. Ho deciso appositamente di farlo a Livorno, in quanto ho ritenuto che la distanza materiale dai dipinti visti a Parigi mi avesse permesso di decantare ogni cosa, raggiungendo la maturità interiore di sintesi per toccare quello che per me è il cuore dell’arte.»
Paul si sedette affascinato dal discorso, continuando a fissare il soggetto del mendicante e quello del violoncellista, posti l’uno accanto all’altro.