Parlami in silenzio Modì
Giovanna Strano
Aiep Editore, 2020
pp 272
14,00
Un’altra bella biografia romanzata a firma Giovanna Strano. A parlare in silenzio è Amedeo Modigliani, scultore e pittore livornese, ebreo sefardita, artista bohemienne maledetto, morto precocemente dopo una vita di eccessi tutta dedita all’arte, all’affinamento della ricerca, allo studio dei volumi e dei colori. Lasciarsi ritrarre da Modigliani equivaleva a farsi spogliare l’anima, metterla a nudo, ma anche avere uno scambio con il pittore, fondersi con lui persino fisicamente.
Il romanzo ripercorre la sua vita, dalla nascita – nel letto che la partoriente condivideva con gli oggetti ammassati per evitare il pignoramento – alle numerose donne che lo hanno accompagnato e alle quali ha dato amore ma anche tormento. Donne belle, forti, indipendenti, che per un periodo gli hanno fatto da muse ispiratrici e da sostenitrici, per poi arrendersi all’impossibilità di vivere con un alcolista, un drogato, un fedifrago devoto solo alla sua arte, anarchico e libertario nel profondo. Donne che, alla fine, lo hanno abbandonato, tranne la dolce e sfortunata Jeanne, la più giovane, la più innamorata, la più ingenua, di cui tutti conosciamo la tragica fine.
Una vita minata dalla malattia, bruciata in fretta, consapevole della propria brevità, ardente di passione umana e artistica, vissuta in luoghi sordidi ma fervidi di cultura e arte.
Più che un resoconto di fatti, il romanzo della Strano è due cose: una splendida ricostruzione d’ambiente – la belle époque, Parigi, i quartieri di Montmartre e Montparnasse, il crogiolo di avanguardie letterarie e fermento artistico all’ombra della prima guerra mondiale – e una carrellata di dipinti e sculture, studiati nella loro plasticità ma soprattutto nel loro significato filosofico e umano, perché fra modello e pittore s’intuisce una corrente di comprensione e di scandaglio che va oltre il rapporto artistico. Ogni figura è interpretata nell’animo ma anche riportata alla sua essenza storica, alle sue origini culturali.
Il testo mi ha ricordato il film I colori dell’anima di Mick Davis, perché anche qui una vicenda che potrebbe essere carica di pathos viene invece vivisezionata nel suo contenuto intellettuale, di riflessione sull’arte, e questo si rispecchia nei dialoghi viziati da un didascalismo che li fredda, ma che trova il suo riscatto nella commovente e bellissima analisi finale dell’autoritratto di Modì. Uomo, artista, donnaiolo, bevitore, bruciato dalla passione, mangiato dalla tubercolosi, ma immortale, per noi, per tutti, per l’eternità.