Amedeo Modigliani, nonostante trapiantato a Parigi nella parte più significativa della sua vita, rimane per sempre un italiano.
Chi lo ha frequentato nella capitale francese lo dimostra. Le modelle hanno testimoniato che mentre dipingeva parlava solo in italiano. I mercanti raccontano di come amasse citare Dante e professare apertamente le sue origini.
Studiando sia la sua scultura e la pittura, è palese l’influenza dei primitivi senesi e l’amore per l’osservazione delle opere del passato, che scaturisce dai numerosi viaggi di studio intrapresi in Italia. A differenza però degli altri livornesi del tempo, che ripercorrevano le orme di Fattori, Modì opera una sovversione della pittura accademica dell’ottocento, cambiando le regole dell’arte nel nome dell’osservazione della realtà.
Quando si iscrive alla scuola di Guglielmo Micheli a Livorno era già un ribelle. In una di quelle occasioni Amedeo venne fotografato con la moglie di Micheli e il grande maestro, raggiante per la contentezza l’esecuzione.
In quel periodo la scuola di Micheli era frequentata da quelli che sarebbero diventati i grandi della pittura italiana del novecento, tra i quali: Oscar Ghiglia, Benvenuto Benvenuti, Llewelyn Lloyd, Gino Romiti.
In particolare Lloyd ci fornisce descrizioni particolari di come Micheli insegnasse la tecnica e il metodo di Fattori, nel quale il disegno ha la massima importanza e la composizione doveva essere curata, rendendo il volume delle cose. In merito alla figura il volto era il fulcro necessario per richiamare l’attenzione. In Modigliani, anche nelle opere della maturità, ritroveremo questo particolare rapporto tra disegno e struttura.
L’esercizio costante avveniva sia nello studio che all’aperto. Il gruppo si aggirava sul lungomare di Livorno intento a cercare un punto per l’osservazione della realtà.
Così riferisce Gastone Razzaguta: “Dedo, alla scuola di Micheli, non faceva che disegnare con molta cura senza la benché minima deformazione. Il segno netto che realizza masse compatte e incide come il chiodo dell’affresco è sempre quello della maniera fatto piana, che vedono imparò a terminare quando era giovanissimo”.
«Voilà l’italien!» un giovanotto alto e magro, con dei baffetti lisci che gli coprivano le labbra, mi sorrideva da lontano avvicinandosi, fin quando si sedette al tavolino, in Place du Tertre. Stentai a riconoscerlo, ma sorrisi.
Giunto solo da qualche giorno a Parigi avevo trovato una comoda sistemazione in un hotel vicino alla Madeleine.
Ero rimasto frastornato dalla vitalità che si spandeva intorno. Le strade, le piazze, brulicavano di gente, tutti indaffarati a cercare qualcosa, immersi nelle proprie faccende. Eppure ognuno di loro trovava spazio per scambiare una parola, per darsi la mano mentre, freneticamente, si proseguiva per il proprio cammino. Nel gennaio del 1906 avevo ventidue anni.
Brano tratto da “Parlami in silenzio Modì” di Giovanna Strano